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COMPETENZE

Creare valore

Principi e strumenti alla base del value based management

Creazione di valore è un’espressione ormai di uso comune nel mondo aziendale e finanziario. Tuttavia, molto spesso si tratta di un enunciato e di un principio di fondo che non si traduce in un’efficace guida per il top management. In realtà, il Valore Creato è un indicatore chiave per misurare e valutare la performance di un’azienda. Questo indicatore (Economic Profit o EVA®) rappresenta anche il perno di un vasto sistema (noto come Value Based Management) che comprende diversi processi gestionali, dalla pianificazione strategica all’incentivazione delle risorse, in grado di contribuire efficacemente a creare valore nel tempo. Una ricerca quantitativa condotta da Venture Consulting su un campione di più di 11.000 società quotate europee e americane ha evidenziato come le aziende italiane tendano a non creare valore, contrariamente a quanto avviene nel resto d’Europa e negli Stati Uniti. La situazione appare particolarmente critica per le piccole-medie imprese italiane che hanno distrutto valore (Economic Profit negativo) anche in un anno relativamente favorevole come il 2005.

Le ragioni principali alla base di questo fenomeno sono la mancanza di strutturazione dei processi manageriali, la debolezza dei sistemi di governance e la tendenza, soprattutto delle PMI, a sovradimensionare il capitale investito rispetto alle esigenze del business.

Anche in Italia si riscontrano, tuttavia, casi di successo nell’applicazione di sistemi orientati alla creazione di valore. Facendo leva su tali esperienze, gli autori evidenziano come il Value Based Management possa rappresentare un’opportunità per le medie imprese italiane per avviare un profondo processo di cambiamento, passando da una gestione imprenditoriale da parte del socio-amministratore a un’impostazione manageriale in grado di gestire le crescenti complessità.

L’implementazione del Value Based Management dovrebbe essere impostata con una visione sistemica e una coerenza complessiva tra le sue parti e dovrebbe essere guidata da un leader autorevole (top down) coinvolgendo al tempo stesso l’intera struttura (bottom-up).

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E' dai primi anni '90 che si parla di creazione di valore. Sebbene la terminologia abbia avuto grandissima diffusione il vero significato si è perso per strada. 

La ragion d'essere, ossia il vero motivo di esistere, di ogni organizzazione è proprio "creare valore" cioè assicurare, come meglio descritto in seguito, che ciò che viene prodotto e venduto valga più del costo di tutte le risorse che sono state necessarie per produrlo. Si tratta di un aspetto imprescindibile, di base. 

Differenze ideologiche possono poi eventualmente esserci circa chi e in che misura debba beneficiare del valore creato, ma non sulla fondamentale necessità che, a monte, debba appunto essere creato valore. Questa, al di là di tutto, è anche la prima e più importante responsabilità sociale d'impresa per il suo impatto sull'occupazione, sulla salute delle istituzioni e su tutti gli altri aspetti di carattere concreto.

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TORNARE AL SIGNIFICATO ORIGINARIO

Il concetto di creazione di valore è molto semplice ma anche molto rigoroso, in quanto fa esplicito riferimento agli aspetti economico-finanziari dell'impresa. Scorrendo dall'alto al basso il conto economico, vediamo che dai ricavi vengono dedotti man mano tutti i costi che l'impresa ha contrattualizzato: le materie prime, i servizi, il lavoro dei dipendenti, gli oneri finanziari (derivante dal capitale preso a prestito da terzi), le imposte.

Alla fine, l'utile netto che l'impresa calcola ogni anno rappresenta la remunerazione a disposizione degli azionisti che possono decidere di reinvestire tutto o parte dell'ammontare per la solidità e lo sviluppo dell'impresa. 

Fin qui tutto bene. Ma che dire della soddisfazione che gli azionisti derivano da quella remunerazione? Il fatto che agli azionisti spetterà "quanto resta" dei ricavi dopo aver dedotto tutti i costi (contrattualizzati) dell'impresa non significa che essi debbano necessariamente accontentarsi, appunto, di "qualunque cosa resti".Infatti per l'impresa, anche gli azionisti rappresentano un costo, ma un costo che - a differenza degli altri visti sin qui - non è contrattualizzato/esplicito. 

Questo fa sì che venga generalmente dimenticato. Grave omissione, in quanto anche gli azionisti hanno delle aspettative (legittime!) di remunerazione. Infatti, le loro risorse economiche potrebbero essere investite, invece che nell'impresa, in altre attività remunerative (che rappresentano un fondamentale termine di paragone). In altri termini, come è stato giustamente osservato, un'impresa che non remunera in modo soddisfacente i propri azionisti, prima o poi rischia di restare senza azionisti.

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insomma, è molto semplice: redigere il bilancio d'esercizio - e quindi calcolare l'utile netto - è un obbligo di legge, ma economicamente non è corretto fermarsi lì. 

Solo dopo aver dedotto dall'utile netto anche il reddito minimo che l'azionista si attende è possibile capire effettivamente se la gestione dell'impresa, per quell'anno ... è in utile economico (diciamo economico per distinguerci dall'aspetto meramente contabile). Solo dopo quest'ultimo costo si può affermare di essere arrivati alla vera, definitiva, performance dell'impresa. Ecco allora il significato originario della creazione di valore: se, dopo aver dedotto dall'utile netto contabile anche il reddito minimo soddisfacente per l'azionista, rimane ancora un risultato positivo, è possibile dire che la gestione dell'impresa per quell'anno ha creato valore, ovvero ha prodotto un reddito  superiore alle attese di remunerazione di tutti i portatori d'interessi, inclusi gli azionisti.

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La creazione di valore è quindi un reddito residuale, misurabile in moneta, che residua appunto dopo aver sottratto il reddito minimo, di soddisfazione, per l'azionista. Se il reddito residuale è positivo, si sarà creato valore, se è negativo si sarà distrutto valore, nel senso che non si saranno coperti tutti costi economici di cui la gestione dell'impresa deve farsi carico.

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Il reddito residuale in letteratura e nella prassi aziendale ha molti nomi tra cui EVA (Economic Value Added) terminologia coniata da Stern & Co.

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DEFINIZIONI CHIAVE E IMPIANTO DI MISURAZIONE

Fiumi di inchiostro sono stati scritti sull'argomento della misurazione della creazione di valore.

A nostro avviso, è importante mettere a punto un sistema di misura corretto, ma è assolutamente fondamentale ricordare che un sistema di misura semplice e comprensibile è preferibile ad un sistema iper-sofisticato che non vede mai la luce oppure è troppo cervellotico per poter essere digerito dal management. Da qui un'altra considerazione chiave: se la creazione di valore resta solo un sistema di misurazione confinato al Vertice aziendale, serve poco e rischia di diventare (come in molti casi è accaduto) l'ennesimo indicatore finanziario, ad uso e consumo dei "contabili", calcolato solo una volta all'anno e senza alcun impatto concreto sulle decisioni manageriali. Insomma, burocrazia di limitata utilità.

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invece, si può e si deve fare meglio. Due sono  le considerazioni sulla definizione dell'impianto di calcolo della creazione di valore che devono essere tenute presenti:

1. innanzitutto la misura del reddito soddisfacente per l'azionista (shareholder value). Senza entrare in troppi dettagli, è sufficiente qui dire che tale reddito è il prodotto tra i mezzi propri dell'impresa (il patrimonio netto, quindi il capitale messo a disposizione dell'azienda dagli azionisti, facilmente rilevabile dal bilancio d'esercizio) ed un tasso di interesse. Il calcolo di questo tasso è più semplice di quanto si immagini, in quanto utilizza tecniche di finanza che risalgono al 1960. Si tratta di aggiungere al tasso per investimenti pressoché privi di rischio (i Buoni del Tesoro decennali vanno benissimo) un differenziale che rappresenta il magior rischio di investimento in azioni rispetto ai Buoni del Tesoro, inclusivo della rischiosità specifica dell'attività nella quale l'impresa opera (una delle regole base della finanza è infatti che, di norma, rischi maggiori sono associati a rendimenti maggiori e viceversa). 

Sono disponibili molteplici raccolte e statistiche di dati che aiutano nella corretta definizione di questi tassi. Per fare un esempio, un'attività la cui rischiosità è in linea con quella del mercato nel suo complesso avrà un tasso di remunerazione minima del capitale degli azionisti pari al 10%, ottenuto come somma tra il rendimento dei Buoni del Tesoro decennali (4%) e il differenziale di rendimento (rischio!) del mercato azionario (6%). 

Quali sono qui le notizie importanti? Almeno due: 

a. il calcolo è relativamente semplice;

b. il calcolo è indipendente dalla volontà individuale dell'azionista; sono infatti dati di mercato, basati su medie statistiche molto ampie, sulle quali il singolo azionista non può (e non deve) avere possibilità di intervento. Ciò ovviamente, a garanzia dell'adeguatezza del numero.

2. Quali sono gli accorgimenti che consentono all'impianto di misurazione di essere "declinabile" nell'organizzazione, in modo da garantire l'approccio alla creazione di valore del maggior numero di persone possibile, orientando i comportamenti verso quell'obiettivo? La sfida in questo caso punta tutto sulla semplificazione, della cui importanza abbiamo già detto ai fini della diffusione del metodo dell'organizzazione. La gran parte dei manager non è valutata sull'utile netto, bensì sul reddito operativo (EBIT - Earnings Before Interests and taxes, vale a dire Rddito precedente agli oneri finanziari ed alle tasse), che è il reddito generato dalla gestione del business al lordo degli interessi e delle imposte. Come è possibile allora riconciliare l'EVA (creazione di valore) con l'Ebit senza perdersi in trope complessità? Il modello della creazione di valore fornisce una risposta in due tempi:

a. innanzitutto va calcolata la media ponderata tra il precitato tasso di rendimento soddisfacente per gli azionisti ed il tasso medio del debito finanziario (al netto dell'impatto fiscale), ottenendo un tasso medio di remunerazione minima di tutte le fonti di finanziamento dell'impresa;

b. a questo punto, si applica il tasso di cui sopra (costo medio del capitale) al capitale investito dell'impresa, derivandone quindi un importo in moneta che rappresenta il reddito minimo, l'asticella che si deve confrontare con il reddito generato , l'Ebit (al netto delle imposte che tecnicamente si definisce NOPAT, cioè Net Operating Profit After Taxes, vale a dire Reddito operativo al netto delle imposte). Ecco calcolato Eva, come differenza rta Ebit e reddito minimo.

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Non deve sfuggire qui un rilevante vantaggio di questo metodo: lo stesso costo medio del capitale può essere applicato a qualsiasi "pezzo" di capitale investito, sia esso l'ammontare dei crediti o il magazzino o gli impianti o un'intera società o una specifica area di business. In altre parole, non solo il manager potrà continuare a ragionare con il suo abituale Reddito operativo (Ebit), dovendo poi dedurre un unico reddito minimo rappresentativo del costo del capitale che lui stesso utilizza, ma addirittura il metodo consente di articolare il calcolo di EVA secondo la struttura strategica ed organizzativa dell'impresa, associando a ciascuna lettura del Reddito operativo (sia esso quello consolidato, di società, di specifica area di business, di prodotto, di area geografica, ecc.) il suo specifico capitale investito e relativo costo.

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Così facendo si riesce quindi ad articolare la creazione di valore secondo le stesse logiche del sistema di reporting aziendale e, auspicabilmente, in coerenza al sistema di incentivazione del management. Proprio quest'ultimo aspetto consente di responsabilizzare il management anche sulle poste dello stato patrimoniale. Ad esempio, un incremento del capitale circolante (del magazzino, dei crediti, ecc.) da un trimestre all'altro comporterà un maggior costo di cui farsi carico, originando così azioni manageriali mirate al suo contenimento. Di converso, un progetto di investimento che promette un rendimento superiore al costo medio del capitale creerà sempre valore, pertanto il management sarà incoraggiato a proporlo al Vertice aziendale con alte probabilità di approvazione.

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PERCHE' LA CREAZIONE DI VALORE STENTA AD AFFERMARSI

Si è detto cosa si deve intendere per creazione di valore nel suo significato originario, in contrasto al generico slogan del quale sono infarciti ormai da anni i messaggi di comunicazione di moltissime imprese. Tuttavia, l'implementazione di un sistema di creazione di valore incontra diversi ostacoli.

 

In primo luogo, creare valore è difficile. Anche nei periodi più brillanti dell'economia, le imprese che possono vantare un EVA positivo sono circa il 50%, figuriamoci oggi. Un indicatore più severo non piace a nessuno.

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In secondo luogo, affinché l'impianto di gestione per la creazione di valore possa dispiegare le sue potenzialità, è necessario che il processo sia accompagnato da un adeguamento dei sistemi di reporting e da uno specifico addestramento/formazione del management, perché è al management che è dedicato l'impianto. Solo a questo punto sarà possibile chiudere il cerchio, ovvero far entrare la creazione di valore nel sistema di incentivazione del management. in altre parole, la creazione di valore non è solo un modo di rappresentare le performance di impresa in modo più completo, ma ha l'ambizione di essere un sistema di gestione (reporting, formazione, incentivi), altrimenti resta una "curiosità" contabile.

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Nella prassi aziendale, un sistema di gestione orientato alla creazione di valore viene abitualmente definito Value Based Management. L'introduzione di ogni sistema di gestione (per analogia, la messa in opera di un nuovo sistema informatico in azienda) comporta investimenti ed impegni. Spesso le organizzazioni scelgono altre priorità.

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COSA FARE/CONSIDERAZIONI FINALI

Come si è detto, la maggior parte delle imprese oggi, anche quelle "grandi e famose", sono lontane dall'obiettivo di creazione di valore. Non è solo di questo che si devono preoccupare. infatti, le cose importanti sono tre:

1. la consapevolezza dell'univocità dell'obiettivo. EVA è un albero rigoroso, all'interno del quale ogni indicatore quantitativo trova il suo posto, nulla viene dimenticato. E' certamente importante il punto di partenza, cioè avere un EVA positivo, ma è altrettanto importante che ci sia tensione manageriale perché quel numero migliori nel tempo ed in modo sostenibile;

2. la comprensione di quali siano i fattori chiave per la creazione di valore del proprio business ed in questo senso grande importanza viene data al capitale investito, dimensione spesso trascurata da parte del management non di matrice anglosassone;

3. l'energia con la quale si mettono in campo azioni e decisioni coerenti con la creazione di valore, che significa attivare un vero sistema di gestione veramente efficace.

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Molti imprenditori e manager preferiscono fermarsi all'utile contabile e non affrontare giudizi più severi. Altri, ritengono che l'importante sia concentrarsi sui ricavi, sui costi e quindi sul Reddito operativo netto (Ebit), il resto verrà da sé. Possiamo quindi fare a meno della creazione di valore? Possiamo trascurare questo aspetto e continuare ad utilizzare indicatori di performance tradizionali? A questo riguardo ci sono almeno tre considerazioni rilevanti:

1. l'ipercompetizione oggi dominante nella maggior parte dei mercati comporta contrazione dei margini e crescente incertezza  nella valutazione degli investimenti. Utilizzare il modello della creazione di valore significa avvalersi di una strumentazione più precisa ed adeguata alla complessità delle decisioni di oggi;

2. nella competizione per raccogliere le risorse finanziarie necessarie alla crescita dell'impresa, siano esse di provenienza bancaria o da investitori professionali, è il linguaggio della creazione di valore che costituisce il fattore critico di successo, quando non addirittura la condizione di accesso;

3. se è vero (e non l'ennesimo slogan) che le risorse umane dell'impresa sono il vero fattore critico di successo sostenibile, non ci sono motivi validi per privare le prorpie risorse manageriali delle competenze e delle abilità che possono derivare dall'impiego di un sistema di gestione più avanzato, nell'interesse dell'impresa.

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